Sulla tela e sulla pelle

“ Il tatuaggio mi permette di usare la mano, di eseguire un lavoro in cui linea e colore nascono da un movimento preciso e sicuro: mi consente di recuperare quella manualità che nell’orizzonte artistico contemporaneo rischia di venir sempre meno sotto la scure dell’invadenza tecnologica e multimediale. Vado a incidere la pelle, la superficie che ci portiamo addosso: richiede molta cura e concentrazione, nulla può essere abbandonato al caso. Agisco entro perimetri limitati e irregolari, genero forme-immagini destinate a muoversi nello spazio e nel tempo, alimentate da una simbologia latente che le rende talismani curativi autentici e perenni…”

Queste considerazioni di Giulia Riva mi hanno molto colpita. Per la prima volta scrivo di una pittrice e tatuatrice e mi convinco che di-segnare e dipingere sia per lei una dimensione dell’esistere, una forma mentis, un modo di intervenire nella realtà. Anassagora, filosofo greco antico, sosteneva che “la mano è l’uomo stesso” e Giuseppe Di Napoli, nell’illuminante testo “Disegnare e conoscere. La mano, l’occhio, il segno”, aggiunge: “la mano è ciò che ha reso l’uomo u-mano”.

Quando Giulia Riva parla dei suoi quadri commuove per l’attenzione scrupolosa che rivolge ancora una volta (come per i tatuaggi) alla mano. E, aggiungiamo noi, alle singole pennellate. L’artista conosce bene le tecniche pittoriche e mediante una prassi assidua e costante, è arrivata, negli anni, a prediligere l’acrilico per le qualità e la consistenza malleabile e translucida. Lo studio, dove abitualmente dipinge, ha dimensioni ridotte e non consente l’accesso a tele di grande formato: l’occhio si è allenato, quindi, a circuiti misurati e ad una visione d’insieme raccolta e meditata. Con una velocità esecutiva sorprendente, frutto di un “mestiere” assimilato e metabolizzato, Giulia Riva realizza composizioni con soggetti desunti dal quotidiano che vantano una secolare tradizione nella storia dell’arte. Stiamo parlando di ciliegie, uva, melagrane, more, fragole, zucche, peperoni, cipolle…e qualcuno potrebbe chiedersi perché non cito il genere della natura morta a cui tali soggetti generalmente appartengono. Perché di fatto non si tratta di still life, i veri protagonisti della rappresentazione sono semplici espedienti pittorici per indagare la luce e raccontare le infinite potenzialità della materia-colore. Sono “attori” moderni di una scena teatrale antica, comparse metafisiche che dal buio ancestrale guadagnano lucori inaspettati e inattesi, effigi adamantine di una realtà solo apparentemente aumentata.

L’inserimento di semplici contenitori di vetro innervati, talvolta, di gocce d’acqua o di olio, è all’origine di spettacolari riflessi e intermittenze luminose rare, rarissime, di ascendenza quasi fiamminga e barocca. Il fatto poi che tutti gli oggetti descritti abbiano rigorosamente un piano d’appoggio, costituito da una linea marcata, ricorda quella sorta di immancabile parapetto, siglato spesso di iscrizioni o cartigli, che nella ritrattistica rinascimentale accompagna la persona raffigurata.

Ci pare di cogliere molti riferimenti e rimandi alla pittura del passato ma nello stesso tempo leggiamo l’evidenza icastica di un’immagine pop, l’aderenza plastica di un fermo immagine cinematografico, con i pixel miracolosamente fusi e sintetizzati in un unico splendido frame, sulla scia di una consolidata pittura “a macchie” di ottocentesca memoria. Siamo di fronte a un linguaggio vivido e forte, a uno stile che nella trasparenza della figurazione e dei riflessi traduce la coerenza e l’onestà dell’impianto ideativo ma soprattutto esprime il piacere del gioco compositivo e cromatico, la passione per una ricerca pittorica che trova fondamento nel suo stesso atto e gesto creativo.

Le opere di Giulia Riva destano meraviglia e stupore, accendono la sfida tra artificio e natura, in un incredibile trompe l’oeil che dalla mitica gara fra i pittori greci Zeusi e Parrasio giunge fino a noi, nella contemporaneità, per ribadire che ogni mappa iconografica è tracciata solamente con il potere della mano.  


Lorena Gava